Festa del papà: ma cosa è? - vi
chiederete: una festa consumistica, una festa pagana o una festa
cattolica?
Forse tutto questo messo insieme.
C’è la festa delle donne, c’è la
festa della mamma, c’è la festa dei nonni, e ovviamente non
poteva mancare la festa del papà.
Ma
questa festa ha origini antiche, legate al culto di Giuseppe,
sposo di Maria Vergine e padre putativo di Gesù, nel 1870 fu
proclamato da Papa Pio IX patrono della chiesa universale
e da allora viene festeggiato
il 19 Marzo. Era una festa molto importante perché fino al 1977
era festa di precetto e.. non si andava a scuola.
Giuseppe deriva dall’ebraico Josef
che significa “accresciuto da Dio “ e nella nostra regione è un
nome molto diffuso, secondo la tradizione cattolica , S.
Giuseppe rappresenta la figura del “padre” di Cristo.
In questo giorno si ricorda il
rifiuto fatto a Giuseppe, in un paese straniero (Betlemme) di
dare un riparo alla Sacra coppia di sposi, in attesa del loro
Bambino.
Maria stava per partorire, Giuseppe
dopo tanto chiedere e girovagare, si vide costretto a trovare
rifugio in una grotta, e a chiedere aiuto ai pastori che
portarono loro del fuoco e del cibo. Questo rifiuto viola due
sentimenti: l’ospitalità e l’amore familiare, dovremmo
ricordarcene quando pensiamo agli stranieri e a tutte le
persone “di fuori” con cui abbiamo a che fare ogni giorno.
Così in alcuni paesi il giorno di S.
Giuseppe si usava invitare i poveri ad un banchetto speciale, in
questa occasione, un sacerdote benediva la tavola, ed i poveri
erano serviti dal padrone di casa.
In alcune città, il banchetto veniva
allestito in chiesa e, mentre due sacerdoti servivano i poveri,
un terzo sacerdote, predicava per nove volte, tante quante erano
le pietanze che venivano servite.
S. Giuseppe è considerato il
protettore dei poveri, dei moribondi, delle ragazze da marito, e
dei falegnami (in virtù della sua professione) degli ebanisti,
dei carpentieri.
La festa del papà è un giorno
speciale per gli uomini genitori, è infatti una figura sempre
più rivalutata nell’ambito della famiglia, il suo ruolo è
cambiato, è più disponibile a prendersi cura dei figli a
dialogare con loro, è più amorevole.
La festa di S. Giuseppe coincide
anche con la fine dell’inverno e si sovrappone ai festeggiamenti
pagani di purificazione agraria, infatti si bruciano i residui
della potatura dei rami degli alberi e della vite, enormi
cataste di legna vengono accese nelle piazze o ai margini di
alcuni rioni, è un rito di purificazione e di buoni auspici per
la campagna.
Quando il fuoco sta per spegnersi,
alcuni li scavalcano con grandi salti, mentre alcuni devoti
recitano le preghiere per S. Giuseppe.
In Puglia questi falò prendono il
nome di “fanòve”. L'usanza ha un duplice significato: uno
religioso per ricordare il gesto compiuto da san Giuseppe
quando, per riscaldare Gesù Bambino, mise il fuoco nel mantello
senza che questo si bruciasse. L'altro significato, è legato ad
un’antica tradizione contadina: i falò servono per riscaldare la
primavera che arriva, è una sorta di rito propiziatorio per il
raccolto dei campi.
Quando ero bambina, ricordo che in
ogni quartiere si allestiva un altarino con l’immagine del Santo
e per nove giorni, tutte le donne e i bambini del vicinato e a
volte gli uomini, partecipavano alla novena.
Il giorno di S. Giuseppe il
sacerdote passava per ogni quartiere e benediceva gli altarini
e “i panèdde” un pane speciale preparato per
l’occasione, che dopo la benedizione veniva distribuito a tutte
le famiglie del quartiere. Tutti i componenti di ogni famiglia
dovevano assaggiarlo per beneficiare della benedizione del
Santo. Infine si accendeva un grosso falò e tutto il quartiere
si riuniva intorno al fuoco, si chiacchierava, si ascoltavano
poesie in dialetto, qualcuno suonava, e magari si cantava,
ognuno portava da casa qualcosa da mangiare, in genere biscotti
fatti in casa, calzone di cipolla, lupini, ceci arrostiti nella
cenere, fave e buon vino.
Quando il fuoco si spegneva era
consuetudine lanciare la cenere in campagna per fertilizzare
uliveti e vigneti. Tempo fa quindi la vita di quartiere
permetteva di conoscersi tutti, di condividere gioie e dolori,
di aiutarsi quando si aveva bisogno, non si era mai soli, le
donne si occupavano di tutti i bambini, vigilavano sui loro
giochi che ovviamente si svolgevano in strada; oggi nel
quartiere in cui abitiamo non ci conosciamo, difficilissimo
vedere bambini giocare, troppo pericoloso, spesso non sappiamo
nemmeno chi abita alcune case più in là, spesso rimaniamo
increduli e sorpresi quando vediamo passare un corteo funebre o
un corteo nuziale ci interroghiamo e non sappiamo chi sia, oggi
la vita sociale si svolge con il telefonino e sui social
network, non credo sia la stessa cosa, certo si è abitanti del
mondo, ma spesso non si è abitanti del posto in cui si vive.
Accludo una preghiera da rivolgere a
S. Giuseppe che ho scaricato da Internet e che mi sembra più
attuale e vera che mai in un momento così difficile per tutti i
lavoratori.
O San Giuseppe, padre
putativo di Gesù e sposo purissimo di Maria, che a Nazareth hai
conosciuto la dignità e il peso del lavoro, accettandolo in
ossequio alla volontà del Padre e per contribuire alla nostra
salvezza, aiutaci a fare del lavoro quotidiano un mezzo di
elevazione; insegnaci a fare del luogo di lavoro una 'Comunità
di persone', unita dalla solidarietà e dall'amore; dona a tutti
i lavoratori e alle loro famiglie, la salute, la serenità e la
fede; fa che i disoccupati trovino presto una dignitosa
occupazione e che coloro che hanno onorato il lavoro per una
vita intera, possano godere di un lungo e meritato riposo. Te lo
chiediamo per Gesù, nostro Redentore, e per Maria, Tua
castissima Sposa e nostra carissima Madre. Amen