Tecnologia o metodologia?
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In questi giorni gli insegnanti sono in attesa delle novità che il governo introdurrà con decreti legislativi e poi attuativi; tra le molte indiscrezioni che trapelano sul nuovo assetto della scuola vi sono anche alcune ipotesi o supposizioni che riguardano l’introduzione del linguaggio informatico fin dalle scuole elementari, il cosiddetto "coding”, ovvero lezioni dedicate alla programmazione di semplici software. |
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E’ questa una ipotesi di lavoro che deriva da
un modello americano secondo il quale gli alunni non solo devono
apprendere come accendere e spegnere correttamente un computer;
conoscere come si usa internet e un tablet; come usare i programmi di
videoscrittura; ma devono anche acquisire delle competenze di base che
possano permettere loro di produrre piccoli programmi, come semplici
videogiochi o brevi sequenze di comandi che possano rendere più
produttivo l’uso del computer. |
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Anche se si tratta di un obiettivo a lunghissimo termine per i bambini della scuola primaria, per raggiungerlo le basi del “coding” vanno poste sin da ora.
Sul “coding” , sui suoi fini e sulla sua
metodica, sul dibattito intorno ad esso ritorneremo più volte nel corso
dell’anno: abbiamo voluto dar qui solo un piccolo spunto anche per farvi
comprendere verso quali orizzonti sperimentali abbiamo intenzione di
condurre la nostra classe.
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Un nuovo approccio all’insegnamento è la
cosiddetta “flipped classroom”: in realtà il suo impianto metodologico
non mi è nuovo poichè ha i fondamenti nella teoria costruttivista che
applico da molti anni nel mio lavoro, in particolare nell’insegnamento
delle scienze. |
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Ma che cosa vuol dire Flipped Classroom? :
letteralmente significa “classe capovolta" poiché il senso è quello di
capovolgere il modo di apprendere . |
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Nella flipped classroom si ha un diverso modo di proporre i contenuti agli studenti e di articolare i tempi di apprendimento; in un primo momento ed esternamente alla scuola, si danno agli studenti dei materiali didattici appositamente selezionati, o predisposti dall’insegnante (ad es. video, risorse multimediali, libri o ebook …) adeguati al contenuto dell’argomento trattato e alle capacità di apprendimento degli alunni. Solamente dopo questa fase, si avvia il lavoro in classe dove l’insegnante si troverà teoricamente un gruppo di studenti già preparato a recepire l’argomento in quanto posseggono già delle informazioni di base che hanno desunto dai materiali usati a casa. A questo punto l’insegnante proporrà e seguirà le attività applicative: esercitazioni, compiti, risoluzione di problemi, studio di casi, attività di approfondimento, attraverso cui gli stessi alunni renderanno omogenee ed organizzate le “nozioni” apprese nella prima fase. |
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Le tecnologie diventano, da questo punto di
vista, lo strumento necessario per la realizzazione della prima parte
del lavoro. Le risorse vengono messe a disposizione degli studenti sia
attraverso la rete (Internet) sia attraverso l’archiviazione digitale
(DVD, pen-drive,..) in modo che possano studiarli o, a seconda del tipo
di materiali, impiegarli anche in maniera attiva e cooperativa. Gli
alunni hanno il controllo su come imparano i contenuti, il ritmo del
loro apprendimento, e come il loro apprendimento viene valutato;
diventano soggetti attivi piuttosto che ricettacoli di informazioni, e
in questo modo l'apprendimento appartiene a loro. |
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Apparentemente sembra che i maggiori beneficiari/destinatari di questo metodo sarebbero gli alunni della scuola secondaria, in realtà io intravedo modalità concrete e operative anche per gli alunni di scuola elementare. Un esempio concreto di questa metodologia è stato creato più volte con gli alunni nei cicli precedenti per realizzare presentazioni multimediali sviluppate attraverso lo storyboard e in cui si chiedeva di applicare le abilità conseguite su un determinato argomento per creare nuovi contenuti, ampliati arricchiti e approfonditi con indagini e manipolazioni realizzate con il pc. |
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Una versione più soft di questa metodologia è stata usata anche in questi tre anni di scuola, perché gli alunni erano ancora piccoli, ma spesso l’approccio alla lezione partiva da un video o da materiale reperito in rete o da un argomento sollecitato dagli alunni e che diventava immediatamente oggetto di indagine ricerca e approfondimento e di discussione in classe. La prospettiva che intravedo è quella di stimolare gli alunni ad acquisire la pratica di ricercare, indagare e praticare una istruzione diretta degli argomenti di studio, penso alla possibilità di caricare sui netbook in dotazione della classe il materiale didattico scelto o costruito dallo stesso insegnante su uno specifico argomento. L’alunno lo potrà visionare a casa e successivamente diventerà oggetto di discussione in classe; l’esperienza vissuta individualmente diventerà uno scambio realmente interattivo sia con il docente sia con i compagni, il contenuto esaminato dall’alunno verrà ampliato nel momento in cui si pongono domande di chiarimento o per risolvere problemi o le difficoltà incontrate, l’insegnante dedicherà il tempo ad affrontare questioni specifiche e personalizzabili alle difficoltà degli alunni. |
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La classe capovolta non è però “cosa facile”:
richiede molto tempo da parte degli insegnanti nella preparazione dei
materiali, poiché essi devono essere adattati alle capacità dei bambini
ed ad uno studio personale. Non basta cioè prendere materiali dal “web”
e passarli ai bambini: molto spesso quei materiali sono di difficile
comprensione anche per gli adulti, o –talvolta- sono inesatti o non
adatti allo scopo che si vuole raggiungere. Tuttavia la “flipped class”
offre il modo migliore per massimizzare le opportunità di apprendimento
in classe.
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Anche su questo argomento ritorneremo più volte.
Per chi vuole approfondire:
Maurizio Maglioni, Fabio Biscaro: La classe capovolta - Innovare la didattica con la flipped classroom; edizioni Erikson (€ 14,40)
In rete:
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