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Al rendimento scolastico dei nostri figli,
siamo soliti dare un'importanza che è del tutto infondata. E anche
questo non è se non rispetto per la piccola virtù del successo. Dovrebbe
bastarci che non restassero troppo indietro agli altri, che non si
facessero bocciare agli esami; ma noi non ci accontentiamo di questo;
vogliamo, da loro, il successo, vogliamo che diano delle soddisfazioni
al nostro orgoglio.
Se vanno male a scuola, o semplicemente non così bene come noi
pretendiamo, subito innalziamo fra loro e noi la bandiera del
malcontento costante; prendiamo con loro il tono di voce imbronciato e
piagnucoloso di chi lamenta un'offesa. Allora i nostri figli, tediati,
s'allontanano da noi.
Oppure li assecondiamo nelle loro proteste
contro i maestri che non li hanno capiti, ci atteggiamo, insieme con
loro, a vittime d'una ingiustizia. E ogni giorno gli correggiamo i
compiti, anzi ci sediamo accanto a loro quando fanno i compiti, studiamo
con loro le lezioni. |
In verità la scuola dovrebbe essere fin dal principio, per un ragazzo,
la prima battaglia da affrontare da solo, senza di noi; fin dal
principio dovrebbe esser chiaro che quello è un suo campo di battaglia,
dove noi non possiamo dargli che un soccorso del tutto occasionale e
illusorio. E se là subisce ingiustizie o viene incompreso, è necessario
lasciargli intendere che non c'è nulla di strano, perché nella vita
dobbiamo aspettarci d'esser continuamente incompresi e misconosciuti, e
di essere vittime d'ingiustizia: e la sola cosa che importa è non
commettere ingiustizia noi stessi.
I successi o insuccessi dei nostri figli, noi li dividiamo con loro
perché gli vogliamo bene, ma allo stesso modo e in egual misura come
essi dividono, a mano a mano che diventano grandi, i nostri successi o
insuccessi, le nostre contentezze o preoccupazioni. È falso che essi
abbiano il dovere, di fronte a noi, d'esser bravi a scuola e di dare
allo studio il meglio del loro ingegno. Il loro dovere di fronte a noi è
puramente quello, visto che li abbiamo avviati agli studi, di andare
avanti.
Se il meglio del loro ingegno vogliono spenderlo non nella scuola, ma in
altra cosa che li appassioni, raccolta di coleotteri o studio della
lingua turca, sono fatti loro e non abbiamo nessun diritto di
rimproverarli, di mostrarci offesi nell'orgoglio, frustrati d'una
soddisfazione.
Se il meglio del loro ingegno non hanno l'aria di volerlo spendere per
ora in nulla, e passano le giornate al tavolino masticando una penna,
neppure in tal caso abbiamo il diritto di sgridarli molto: chissà, forse
quello che a noi sembra ozio è in realtà fantasticheria e riflessione,
che, domani, daranno frutti.
Se il meglio delle loro energie e del loro ingegno sembra che lo
sprechino, buttati in fondo a un divano a leggere romanzi stupidi, o
scatenati in un prato a giocare a football, ancora una volta non
possiamo sapere se veramente si tratti di spreco dell'energia e
dell'impegno, o se anche questo, domani, in qualche forma che ora
ignoriamo, darà frutti. Perché infinite sono le possibilità dello
spirito.
Ma non dobbiamo lasciarci prendere, noi, i genitori, dal panico
dell'insuccesso. I nostri rimproveri debbono essere come raffiche di
vento o di temporale: violenti, ma subito dimenticati; nulla che possa
oscurare la natura dei nostri rapporti coi nostri figli, intorbidarne la
limpidità e la pace. I nostri figli, noi siamo là per consolarli, se un
insuccesso li ha addolorati; siamo là per fargli coraggio, se un
insuccesso li ha mortificati. Siamo anche là per fargli abbassare la
cresta, se un successo li ha insuperbiti. Siamo per ridurre la scuola
nei suoi umili ed angusti confini; nulla che possa ipotecare il futuro;
una semplice offerta di strumenti, fra i quali forse è possibile
sceglierne uno di cui giovarsi domani.
Quello che deve starci a cuore, nell'educazione, è che nei nostri figli
non venga mai meno l'amore per la vita, né oppresso dalla paura di
vivere, ma semplicemente in stato d'attesa, intento a preparare se
stesso alla propria vocazione. E che cos'è la vocazione di un essere
umano, se non la più alta espressione del suo amore per la vita?
(Natalia Ginzurg, pubblicato originariamente su "Nuovi Argomenti" nel
1960)
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Figlio, oggi ti ho
lasciato la mano perchè tu possa camminare da solo.
Ti seguo con lo sguardo
e mi sembri piccolo e indifeso, mentre avanzi deciso, scegliendo la
strada.
Questo ti prometto, che
camminerò al tuo fianco finchè ne avrò le forze, ti aiuterò a rialzarti
se cadrai.
E perchè ti amo, saprò
fare la cosa più difficile: ti lascerò libero di scegliere e ti seguirò
anche lungo la strada sbagliata, per aiutarti a tornare indietro quando
lo vorrai tu.
(Simona Barè Neighbors)
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