Internet e Scuola

 

Quest’anno il lavoro che sarà condotto in classe terza prevede  il graduale distacco dalla manipolazione di  oggetti concreti, in modo da lavorare sul  pensiero reversibile per consentire l’interiorizzazione di concetti astratti tipici del pensiero matematico: naturalmente il concreto e l’aggancio con la realtà non mancheranno!

E’ previsto un uso moderato ma continuo del PC e dei suoi programmi a fini didattici, per velocizzare la comprensione di concetti che svolti con la sola lavagna tradizionale sarebbero troppo complessi. Per fare un esempio il disegno delle forme geometriche eseguito con il "Paint" e  accompagnato dalla spiegazione dell’insegnante sulle proprietà di ogni figura, risulta essere di più immediata comprensione. Allo stesso modo conoscere gli angoli con il programma "Geogebra", consente di vederne l’ampiezza, la rotazione, la misura...  Se si utilizza un software adatto allo scopo, anche con la matematica si hanno risultati eccezionali. Sono esempi che permettono agli alunni di verificare concetti astratti, manipolandoli sia pure virtualmente sul PC.

Da tempo nel lessico degli operatori scolastici si parla dei bambini  come di “nativi digitali” per indicare la realtà tecnologica che invade e pervade  la vita dei nostri figli. Lo vediamo bene a casa, sono letteralmente circondati da tv, telefonini , smartphone, tablet  e se qualche genitore fa resistenza nel consentirne l’uso, subito intervengono i regali di compleanno di parenti e amici  per dotare lo "sfortunato" bambino che non è al passo con i tempi. Recentemente mi è capitato di leggere sui social network i commenti di alcuni insegnanti che si lamentavano del pienone di software e contenuti innovativi e uso di tablet e computer a scuola, che in teoria dovrebbero risolvere i problemi della scarsa formazione degli alunni.  

Le tecnologie come tutti gli strumenti e sussidi didattici propongono idee e stimoli, l'insegnante in base al suo metodo e agli obiettivi da raggiungere deve scegliere il mezzo più congruo, ciò presuppone una certa padronanza delle competenze, che si può anche fare sul campo aggiustando "il tiro" su ciò che si propone. Nessuno strumento è una perdita di tempo a patto che si progetti bene cosa si vuole ottenere e come raggiungerlo, dopo aver fatto una stima approssimata sui costi e benefici che l’utilizzo del pc o della LIM o tablet comporta .

In questo senso io vedo l'uso delle tecnologie a scuola. L’uso che ne facciamo è sempre rigorosamente mediata dall’insegnante esattamente come a casa dovrebbe fare ogni genitore che segue dei figli minorenni che usano il pc e si collegano ad Internet. Non è colpa della tecnologia se i figli si ritrovano a fare o vedere cose riprovevoli, la vigilanza sui minori è compito degli adulti e nella fattispecie a casa, dei genitori.

 

Vi propongo, come spunto di riflessione, un articolo che potrà in qualche modo rispondere alle perplessità che ogni genitore attento si pone quando si parla delle tecnologie. E' apparso sulla Vita Scolastica scritto da  Marina D’Amato che a sua volta lo ha estrapolato da un articolo apparso su Psicologia Contemporanea (n.231 maggio-giugno 2012).

Io ve lo propongo leggermente ridotto: l’autrice non me ne voglia, ma è un modo per far conoscere ai genitori tematiche che gli operatori del settore affrontano e che  vanno diffusi :

 

“Che cosa pensa questa generazione immersa nel digitale, che ha imparato a scrivere e a navigare nello stesso tempo, che ha più dimestichezza con il computer, internet e gli sms che con la tavola pitagorica e la grammatica o l’analisi logica, è una questione problematica.

I bambini usano il computer mediamente meglio dei loro genitori e dei loro insegnanti e questo fenomeno è in se stesso un evento epocale perché altera i rapporti di autorità aprendo nuove questioni: sarà una generazione violenta, egocentrica, antisociale? La generazione dello zapping sarà capace di sostenere la propria attenzione su un oggetto per più di qualche minuto? Quali saranno gli atteggiamenti di chi non ha mai giocato a guardia e ladri correndo e nascondendosi, ma solo interpretando i ruoli sullo schermo?

I confini e i contenuti di questa “generazione di  Nintendo“ sono fluidi poiché questi strumenti, che propongono immagini simili a quelle della tv, non sono stati ancora studiati così approfonditamente e le idee in proposito sono molto contrastanti.

Per alcuni, i giochi multimediali hanno virtù catartiche: uccidere attraverso un joystick libera dalla paura e dallo stress. Per altri, questi scenari sono la peggiore istigazione alla violenza poiché la sdrammatizzano. Tutti unanimemente temono dipendenza e ossessione. Negli USA esistono già istituzioni mediche specializzate per la dipendenza da internet e da videogiochi (…).

Più sottile e pervasivo viene indicato un altro rischio: quello di immergersi nella cultura della simulazione.

Il problema è di confondere mondo reale e mondo virtuale: “I più connessi non si interrogano neanche sulla veridicità del cyber-mondo".

L’altra grande questione concerne la selezione dei contenuti, perché internet è entrato a piccoli passi a scuola, ma qualcuno già immagina una didattica in cui ogni alunno potrebbe, rapportandosi a un computer, sostituire il docente. Eppure, è riconosciuto che la rete non offre la possibilità di gestire il sapere universale, perché lì ogni argomento vale quanto un altro, senza un’ipotesi gerarchica, e nessuno, se non insegnanti o adulti accorti, può insegnare a servirsene (…).

L’uso dei videogiochi, inoltre, è sempre più messo in correlazione con il ripiegamento su se stessi.

Come impareranno i bambini  a incontrare gli altri? A confrontarsi con la realtà delle relazioni umane?

Il problema dei genitori sembrerebbe non riguardare tanto la scarsa socializzazione o la solitudine del bambino, quanto piuttosto la sua autonomia poiché preso da qualcosa che sfugge loro. A proposito della diffusione dei giochi di strategia dove per poter giocare al meglio bisogna adattare il computer al numero dei giocatori, ma non solo: è necessario anche discutere del gioco stesso, perché, a differenza degli “sparatutto“, per costruire una civilizzazione è indispensabile avere molta capacità diascolto e di negoziazione. Il mezzo è cambiato ma gli atteggiamenti sono gli stessi dei giochi classici: sviluppare una strategia, condividere delle idee, proporre delle trappole, scherzare.

In realtà, se non ci si sofferma solo sui giochi abbruttenti, i videogiochi non rappresentano, forse, la minaccia sociale che molti temono. Se, potenzialmente, però, internet permette di entrare in rapporto con gli individui del mondo intero, di fatto produce attività solitarie, anche le possibilità di scaricare film, musica, libri, e quindi  gli elementi di chiusura verso il mondo esterno aumentano. In internet è, infatti, più facile esprimersi e mostrarsi. In ogni caso, nonostante ricerche diverse per risultati, ciò che risulta è che se anche internet non procura più isolamento della TV, tuttavia procura più stress.

L’esistenza di reali incontri sul web è del resto una realtà confermata da molti studiosi soprattutto all’internodi gruppi di gioco o di discussione, ha evidenziato una “forma di socialità lieve“, cioè una forma di scambio che di fatto non scambia, che non ha conseguenze psicologiche profonde a livello di responsabilità né di implicazioni, ma solo atteggiamenti momentanei.

Le cyber-relazioni umane sono solo l’illusione di impegno con se stessi. Ognuno può giocare più ruoli sulla scena della vita, mascherandosi a proprio piacimento. Tale dislocazione dell’identità in molteplici personaggi che rappresentano diversi aspetti di uno stesso individuo non è una finzione. Le analisi fatte dimostrano, ad esempio, che più del 50% degli adolescenti online ha più di un indirizzo mail e che la maggior parte di loro utilizza i diversi indirizzi per selezionare differenti aspetti dei loro interessi e amici.