La strascine di Sande Jàqueje

 

 

Van Gogh: Notte stellata

Un po' per il caldo e le belle serate all'aperto, un po' per la speranza di catturare al volo una stella cadente ed esprimere il fatidico desiderio nascosto, resta il fatto che l'estate è il momento più propizio per stare con il naso all'insù a guardare le stelle.

E come ogni volta che si guarda il cielo limpido delle notti estive non si può non restare con il fiato sospeso davanti alle meraviglie del nostro Universo.

Come per migliaia di anni hanno fatto i nostri antenati, quando le notti erano veramente buie e il cielo poteva mostrare la sua incomparabile magnificenza delle innumerabili stelle.

Qualcuno più fortunato ha potuto avere una idea di cielo stellato qualche annetto addietro a causa di un improvviso black-out che lascò l'Italia al buio per un paio di notti (era il 2003).

Fu solo un assaggio di quello che poteva essere uno spettacolo comune fino all'avvento della luce elettrica e della illuminazione delle città.

Oggi per godere di un simile spettacolo bisogna essere in grado (anche finanziariamente) di raggiungere posti desertici o totalmente isolati o il bel mezzo dell'oceano, dove l'inquinamento luminoso non appanni la visione del cielo stellato.

Ma tempo fa era tutt'altra cosa!

Si stava con il naso all'insù non per ammirare il cielo, ma perché spesso in estate si dormiva all'aperto: pensate ai pastori o ai contadini che nel periodo della mietitura restavano lontano dalle case per intere settimane; pensate a mercanti e viaggiatori ed ai loro lenti spostamenti, con i conseguenti bivacchi notturni. Ma anche chi era a casa, spesso preferiva dormire all'aperto anziché nelle anguste e sovraffollate casupole.

Forse il cielo non era così romantico per tutti; forse non tutti lo ammiravano con la stessa intensità; forse ...

Sicuramente, però un effetto lo faceva sulle persone, visto che nel cielo gli antichi hanno trovato forme e animali e personaggi noti e per ognuno di essi hanno inventato storie, miti, leggende,...

E  da quelle sono nati i nomi delle nostre costellazioni, di molte delle nostre stelle e anche i nostri segni zodiacali.

E ogni popolo ha trovato le proprie forme, unendo le stelle più belle, e per ogni forma c'è sempre stata almeno una storia, molto spesso tante storie.

Anche la Via Lattea ha una sua leggenda, anzi ne ha molte e non tutte legate ai popoli più antichi: ne sono nate anche in epoca Cristiana ed ogni regione poi ne ha fatta una "variazione sul tema".

La leggenda più nota della Via Lattea è sicuramente quella legata alla mitologia greca di Eracle, poi ripresa dai Romani.

Secondo una delle versioni della mitologia greca, Zeus (il romano Giove) scelse di generare con la saggia Alcmena (che era umana) un figlio tanto forte da impedire lo sterminio di uomini e dei. Il bambino, di nome Eracle (Ercole), fu abbandonato dopo la nascita dalla madre che temeva l’ira di Era (Giunone), la legittima moglie del dio. Tuttavia, su suggerimento dello stesso Zeus, Atena (Minerva) condusse Era fuori dalle mura di Tebe, dove il bambino era stato abbandonato.
Vedendolo, Era lo avvicinò al seno per allattarlo e il bambino succhiò così forte il latte da spargerlo ovunque: da quel momento Eracle divenne immortale e nel cielo fu visibile la Via Lattea.

Un altro mito greco fa risalire l'origine della Via Lattea a Galatte (leggi il mito a questo link).

Tintoretto: Nascita della Via Lattea

Tutti noi sappiamo che la Via Lattea è la grande galassia che comprende anche noi ed il nostro sistema solare.

La Via Lattea appare in cielo come una striscia biancastra che attraversa molte costellazioni e si può vedere a occhio nudo in maniera distinta se la si osserva da un luogo lontano dalle luci della città.
È una galassia a spirale come tante altre, con l’unica particolarità di ospitare – un po’ in periferia – il nostro Sistema Solare, oltre a circa 200 miliardi di stelle e ad ammassi di nebulose. Il suo diametro raggiunge circa 100.000 anni luce (ciò significa che un raggio di luce ha bisogno di 100.000 anni per percorrerne l’intero diametro).

Dopo l'avvento del Cristianesimo, molti miti antichi furono abbandonati, ma a a causa  della scarsità di conoscenze scientifiche si dovè dare una nuova "interpretazione" alla presenza della Via Lattea nel cielo. nacquero così nuove leggende, una delle quali molto popolare e diffusa in tutta l'Europa Meridionale.

Questa leggenda è legata alla figura di Giacomo Apostolo (il Maggiore).

Nella cultura Cristiana medioevale la Via lattea rappresentava il cammino delle anime per raggiungere il Paradiso, ed era rappresentato come un immenso ponte nel cielo. Era chiamata proprio Ponte delle Anime, Scala di San Giacomo di Galizia, o la Strada o Cammino di San Giacomo. Questo cammino, molto difficoltoso perchè cosparso di lance, spade, pugnali, coltelli, chiodi, pezzi di metallo taglienti ed acuminati, spine e rovi, era percorso dalle anime che in tal modo di purificavano dai loro peccati attraverso la sofferenza. In questo  cammino le anime penitenti (purganti) erano sostenute ed accompagnate da San Giacomo.

Questo cammino di espiazione i cristiani lo potevano già compiere da vivi con il famoso pellegrinaggio (a piedi) che portava a Santiago di Compostela. San Jago è San Giacomo e Compostela è la traslazione di Campus Stellae, cioè il campo delle stelle, la Via Lattea, appunto.

Ma il modo in cui era stata tracciata la Via Lattea nel cielo è stato diversamente interpretato dalle diverse popolazioni e spesso in ogni singolo paese vi è una leggenda diversa.

Quelle santermana racconta che San Giacomo, Sande Jàqueje, aveva raccolto della paglia secca per farne un giaciglio mentre accompagnaava le anime nel loro percorso. Ma la coperta che la conteneva era strappata per cui nel cammino la paglia si perdeva in una lunga scia: la Via Lattea.

Alberto Di Leone, poeta santermano, ha ben espresso questa storia in una struggente poesia: "La strascine de Sande Jàqueje"

 

 

 

La strascine de Sande Jàqueje

 

Mamme me vuläve bbén' assaäje:

me perdunäve i picce,

me mbaräve i cose de Criste,

me däve u päne pure a ccondrore

e qqualchè vvolte me chiamäve "tesore".

 

La säre,

ci tenäve timbe,

me cundäve cérte stòrje fine fine:

strje de sande,

de rré e de reggine.

 

Na volte,

m'arrecorde,

me pegghjò pé mmäne e ffsce sègne ngile.

Disse:

- La vite chèda striscia bbianghe, da ponde a ponde?
Chede jè la Strascine de Sande Jaqueje,
u Sande c'arrubbò la pagghje Mbaravise
e ppò la pèrse sträte sträte
pecciä la racanedde s'ère strazzäte! -

 

- Mamme - facibb'ije -

-Ciä nn'éra fä de la pagghje, Sande Jàqueje?-

-Ciä n'éra fä, figghje?

S'éera sci a ccolche dréte a na stèlle

nzìmele all'Aneme du Priatòrje!-

 

-_Jé bbèlle chèssa stòrje,

jé bbèlle.

Cùndemene n'altune, mamme:

n'altune addò stonne i stèlle. -

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non aggiungo una traduzione in italiano, benchè so che avrete qualche difficoltà a leggere questa poesia.

 

Perchè vi ho raccontato questa storia?

In quarta lo studio della storia porterà i bambini nel mondo dei miti e delle leggende degli antichi popoli e il confronto con quelli che sono stati i racconti tramandati dai nostri nonni, sarà inevitabile, ma anche stimolante, se dietro questo lavoro ci sarà il vostro aiuto.

 

  Utenti online