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Libri di testo e metodo

 

Spesso nel mio lavoro, i genitori mi pongono quesiti riguardanti l’uso del libro di testo  e sul modo migliore di usarlo, altri genitori invece mi suggeriscono consigli e modalità di lavoro del tutto personali a volte addirittura su come “fare didattica”, altri vorrebbero che si usasse esclusivamente il testo, per avere essi stessi una guida per seguire i figli.

Comprendo le ansie dei genitori e i loro quesiti, la voglia di rendersi utili, di collaborare con gli insegnanti, e di comunicare le strategie operative che adottano a casa per seguire i figli, tuttavia bisognerebbe chiarire aspetti che sfuggono a chi non è “ un addetto ai lavori”.

Non tutti sanno che:

- un libro di testo viene scelto in primo luogo in aderenza ai programmi ministeriali,  poi sulla base della massima aderenza agli obiettivi da raggiungere, infine come rispondenza ad un coerente  metodo di lavoro da adottare;

-- per evitare speculazioni delle case editrici e l’uso di una variegata quantità di libri, attualmente usiamo un unico blocco di testi di una casa editrice per le discipline di base, per tutte le classi del primo ciclo     (1a,2 a,3 a) e un altro blocco per le discipline del secondo ciclo (4 a,5 a);

- nella scelta intervengono tutte le insegnanti delle interclassi insieme ai rappresentanti dei genitori;

- un libro non è mai veramente rispondente al metodo di ciascun insegnante, ma è una traccia di lavoro, un percorso possibile da seguire, e l’uso che se ne fa dipende moltissimo dall’insegnante che deve fornire agli alunni gli strumenti per usarlo.

Aggiungo inoltre che l’uso sistematico del libro di testo (il sussidiario) si consolida solo nel secondo ciclo quando gli alunni hanno imparato a raccontare le “storie” delle esperienze vissute e/o hanno imparato a decodificare la consegna delle esercitazioni.

A questo punto interviene il metodo di lavoro, che non è inteso come libero arbitrio ma  semplicemente è  la consapevolezza acquisita da ciascun insegnante, attraverso un percorso di lavoro, che utilizza strategie che si sono consolidate sulla base delle esperienza personali, e arricchite  dalla condivisione di teorie educative e didattiche che “gli addetti ai lavori” ovvero pedagogisti, filosofi e psicologi dell’educazione continuamente propongono agli insegnanti come filo conduttore del loro lavoro. L’azione educativa non consiste quindi nel seguire la teoria corrente più alla moda, non è una attività che viene continuamente stravolta  dalle correnti di pensiero, è secondo me un percorso coerente di lavoro che sì, è vero, potrebbe subire modifiche nel momento in cui ci si rende conto di errori operativi, ma per antonomasia deve essere elastica e in continuo divenire.

I regoli

 

Pezzi di BAM commerciali

Una collega mi ha posto un importante quesito riguardo l’insegnamento della matematica: mi ha chiesto se utilizzare gli insiemi sia superato, se utilizzare i regoli sia superato ecc…

Personalmente mi aggiorno continuamente e so che esperti di didattica della matematica  hanno scritto sulle riviste che bisognerebbe eliminare dalla matematica inutili formalismi: sono d’accordo su questi principi.

Tuttavia togliendo quegli strumenti   e quelle tecniche di lavoro non si capisce come si faccia a far agevolmente comprendere ai bambini che un numero rappresenta una classe e che tutti gli altri numeri sono in esso inclusi, l’insiemistica non viene usata fine a se stessa.

Uso i regoli all’inizio per far “toccare con mano” il numero, in seguito per costruire in modo personalissimo dei blocchi multibase (B.A.M) coloratissimi e che rappresentano le classi dei numeri, ( in commercio esistono BAM già pronti, ma oltre a essere molto costosi sono anche di un uniforme colore che non si presta alla percezione visiva immediata delle quantità).

Per fortuna tutto ciò che i teorici ci propongono e ripropongono viene personalizzato dalle insegnanti: infatti bisogna considerare che  l’insegnamento è fatto di persone e quindi è affidato alla passione, all’impegno personale e alla competenza di ciascuno.

Concludo con un racconto che spero chiarisca il mio pensiero.

 

Una volta un signore viaggiava a bordo di una Rolls Royce, quando all’improvviso un rumore di ferraglia  e un fumo sospetto bloccò la macchina. Chiamò l’intervento automobilistico e chiese in particolare un meccanico abile a capace di riparare la sua preziosa vettura dicendo che non avrebbe badato a spese. Il meccanico arrivò, controllò il vano  motore con cura  e… prese un martello e diede un colpo deciso su un punto del motore.

Poi rivolto al proprietario disse che la macchina era a posto,  e il suo compenso era di 200,000 euro. Il signore era allibito sia per  il colpo di martello applicato alla sua preziosa macchina, sia per la richiesta esagerata del compenso per una riparazione che aveva richiesto un colpo di martello da un minuto e non un lungo lavoro.

Il meccanico rispose che il compenso era giustificato dal fatto che non è da tutti sapere come e dove dare il colpo giusto per riparare la vettura e quindi lui stava pagando la sua  competenza.

 

Il genitore non è colui che studia per il figlio, ma è colui che crea condizioni esterne perché l’attività dell’apprendimento avvenga e il suo compito consiste  nell’accompagnare i propri figli, seguirli e  condividere con loro le gioie e le fatiche dello studio, sostenendoli affettivamente.

 

La presenza del genitore nello studio dei figli deve essere sempre più discreta, finalizzata al raggiungimento di  una autonomia responsabile, per cui  il “controllo”  del genitore deve avvenire più sull’esito che non sulle procedure che fanno parte dello specifico metodo di studio che viene insegnato a scuola.