Cap. 6. La formazione dei professori.
Questi sono i problemi della scuola, problemi che si possono risolvere
solo con la formazione, e non solo la preparazione, di professori che
abbiano come tensione della loro vita la cura dei giovani. E come non si
può fare i corazzieri se si è alti un metro e cinquanta, cominciamo a
chiederci perché si può insegnare per il solo fatto di possedere una
laurea, senza alcuna richiesta in ordine alla competenza psicologica,
alla capacità di comunicazione, al carisma. Sì, proprio il carisma.
Tutti abbiamo conosciuto almeno un professore che è stato decisivo nelle
nostre scelte di vita. Perché questa possibilità è sempre più ridotta
per i giovani di oggi, quando la psicologia ci insegna che i processi di
identificazione con gli adulti, le cariche emozionali che su di loro
vengono convogliate sono le prime condizioni per la costruzione di un
concetto di sé così necessario per non brancolare nell'oscillazione
dell'indeterminatezza?
La mancanza di formazione personale, infatti, se non porta gli
adolescenti al suicidio, li porta spesso là dove si spaccia musica,
alcol e droga, in quella deriva dell'esistere che è poi quell'assistere
allo scorrere della vita in terza persona senza esserne granché
coinvolti, in ritmi sempre più estremi ed estranei. Per cui, in certo
modo, ci si sente stranieri nella propria vita, in quell'insipido
trascorrere di giorni, dove equivalente diventa esserci o non esserci,
senza che alcun gradiente faccia apparire la vita preferibile al suo
nulla, in quell'atmosfera opaca e spessa che si frappone tra sé e le
proprie cose, che se ne vanno lontane da una vita che avverte se stessa
sempre più anonima e altra.
A queste forme di disagio si è soliti rispondere con
quell'elenco di riforme dove ciò che si prospetta sono autonomie
gestionali, rivalutazione della figura del preside, incentivi materiali,
nuovi programmi ministeriali messi a punto in funzione di nuovi profili
professionali, accorpamento di indirizzi di studio, commissioni di
esperti, informatizzazione di questo e di quello, magnifici libri di
testo, corsi integrativi, corsi d'aggiornamento. L'unico fattore
trascurato è il frequente disinteresse emotivo e intellettuale
dell'insegnante, con trasmissione diretta allo studente, che tra i
banchi di scuola finisce per trovare solo quanto di più lontano e
astratto c'è in ordine alla sua vita, in quella calda stagione dove il
sapere non riesce, per difetto di trasmissione, a divenire nutrimento
della passione e suo percorso futuro.
Cap.7. Il bullismo degli studenti.
E così per tutta l'adolescenza e la prima giovinezza, quando massima è
la forza biologica, emotiva e intellettuale, i nostri ragazzi vivono
parcheggiati in quella terra di nessuno dove la famiglia non svolge più
alcuna funzione, la scuola non desta alcun interesse, la società alcun
richiamo, dove il tempo è vuoto, l'identità non trova alcun riscontro,
il senso di sé si smarrisce, l'autostima deperisce. Solo con gli amici
della banda oggi molti dei nostri ragazzi hanno l'impressione di poter
dire davvero "noi", e di riconfermarlo in quelle pratiche di bullismo
che sempre più caratterizzano i loro comportamenti a scuola. Lo sfondo è
quello della violenza sui più deboli e la pratica della sessualità
precoce ed esibita sui telefonini e su internet dove, compiaciuti, fanno
circolare le immagini delle loro imprese.
Cap.8. Che fare?
Che fare non lo so, che dire ci provo. Penso che la generazione dei
nostri figli abbia, rispetto a quella dei loro genitori, un'emotività
molto più incontrollata e uno spazio di riflessione molto più modesto.
Il loro fondo emotivo è stato sollecitato fin dalla più tenera età da un
volume di sensazioni e impressioni eccessivo rispetto alla loro capacità
di contenimento. Sin dai primi anni di vita hanno fatto troppa
esperienza (televisiva e non) rispetto alla loro capacità di elaborarla.
Di loro abbiamo detto: "Come sono intelligenti, noi alla loro età
eravamo più stupidi". E non l'abbiamo detto solo a noi, l'abbiamo detto
anche a loro. E loro ci hanno creduto, avviandosi, con la nostra
benedizione ed il nostro compiacimento, su quella strada ingannevole
dove si confonde l'intelligenza con l'impressionabilità, a cui segue una
risposta immediata.
In questo gioco di inganni abbiamo confuso la loro risposta immediata
con la prontezza dei riflessi e la velocità di ideazione, mentre era
semplicemente un cortocircuito.
Ora questi nostri figli si trovano ad avere un'emotività carica e
sovraeccitata che li sposta dove vuole, a loro stessa insaputa, senza
che un briciolo di riflessione, a cui non sono stati educati, sia in
grado di raffreddare l'emozione e non confondere il desiderio con la
pratica anche violenta per soddisfarlo.
Autodiscipline, non divieti immotivati e punizioni casuali. E perché le
autodiscipline si formino occorre aver
passato tanto tempo con i figli, perché la teoria secondo la quale è
decisiva la qualità del tempo che si passa con i figli e non la quantità
è una patetica storia che genitori, in tutt'altro affaccendati, si sono
raccontati a loro giustificazione, lasciando ai figli una gran quantità
di tempo da passare in solitudine, con un carico emozionale eccessivo e
nessuno strumento di contenimento.
Ma ormai questo mio parere, se ha una sua plausibilità, può tornar utile
a chi mette al mondo dei figli oggi.
Per chi li ha già in quell'età che possiamo definire dell'adolescenza
infinita, resta solo da dire a genitori e professori: non interrompete
mai la comunicazione, buona o cattiva che sia, qualunque cosa i vostri
figli o i vostri studenti facciano. A interromperla ci pensano già loro
e, come di frequente ci dicono le cronache quotidiane, anche in maniera
distruttiva.
Dispongono ancora i nostri giovani di una psiche capace di elaborare i
conflitti e quindi, grazie a questa elaborazione, di trattenersi dal
gesto? Esiste nella loro cultura e nelle loro pratiche di vita
un'educazione emotiva che consenta loro di mettere in contatto e quindi
di conoscere i loro sentimenti, le loro pulsioni, la qualità della loro
sessualità e i moti della loro aggressività? Oppure il mondo emotivo
vive dentro di loro a loro insaputa, come un ospite sconosciuto a cui
non sanno dare neppure un nome? .Qui faccio riferimento a quella cura
dell'emotività che prende avvio il giorno della nascita, quando il
neonato si attacca al seno materno e, insieme al latte, assapora
l'accoglienza, l'indifferenza o il rifiuto. Moti impercettibili che
sfuggono all'osservazione esterna, ma decisivi per la formazione nel
neonato di quel nucleo caldo o "fiducia di base", come la chiama Michael
Balint, che è la prima condizione per essere al mondo, senza essere
soverchiati dall'angoscia.
Poi si cresce, e nell'educazione della prima infanzia vedo padri e madri
che promuovono un'educazione fisica e un'educazione intellettuale, ma
non un'educazione emotiva, che è poi l'educazione dei sentimenti, delle
emozioni, degli entusiasmi, delle paure. Tutte queste cose il bambino se
le organizza da sé come può e soprattutto con gli strumenti che non ha.
Tra una palestra e un corso di nuoto perché bisogna crescere con un bel
corpo, tra una spiegazione ora sbrigativa, ora articolata, ora un po'
imbrogliata perché bisogna diventare intelligenti, quanto passa tra
genitori e figli di quella comunicazione indiretta per cui si sente
nella pancia, prima che nella testa, che del padre e della madre ci si
può fidare, perché li si avverte al proprio fianco nei primi movimenti
un po' impacciati della vita? Cura del corpo, cura dell'intelligenza, ma
quanta cura dell'anima? Qui gli adulti annaspano un po'. E veicolano
l'amore attraverso le cose che in abbondanza acquistano per soddisfare
quei desideri infantili che vanno a occupare il vuoto di comunicazione,
che già manifesta i suoi primi segni
nella svogliatezza, nell'indolenza, nella pigrizia, nella ribellione e,
nei casi più gravi anche se meno eclatanti,
nella rassegnazione depressiva. Quel che si può avvertire in questo
periodo caratterizzato da sovrabbondanza di stimoli esterni e carenza di
comunicazione sono i primi segnali di quell'indifferenza
emotiva, oggi sempre più diffusa, per effetto della quale non si ha
risonanza emozionale di fronte ai fatti a cui si assiste o ai gesti che
si compiono.
E tutto ciò perché? Perché manca un'educazione emotiva: dapprima in
famiglia, dove i giovanissimi trascorrono il loro tempo in quella
tranquilla solitudine con le chiavi di casa in tasca e la televisione
come baby-sitter, e poi a scuola quando, sotto gli occhi molto spesso
appannati dei loro professori, ascoltano parole inincidenti, che fanno
riferimento a una cultura troppo lontana da ciò che la televisione ha
loro offerto come base di reazione emozionale. E così la loro
sensibilità fragile, introversa e indolente, che la scuola si guarda
bene di educare, tracolla in quell'inerzia a cui li aveva allenati
l'apprendimento passivo davanti al video e oggi davanti a internet, con
frequenti fughe nel sogno o nel mito, nella ricerca neppure troppo
spasmodica di un'identità, di cui troppo presto si dubita di poter
reperire la fisionomia, per incapacità di rintracciare radici emotive
proprie.
Il tutto condito da un acritico consumismo, reso possibile da una
società opulenta, dove le cose sono a disposizione prima ancora che
sorga quell'emozione desiderante, che quindi non è sollecitata a
conquistarle, e perciò le consuma con disinteresse e snobismo in modo
individualistico, dove il pieno delle cose sta al posto del vuoto delle
relazioni mancate.
Siccome l'educazione delle emozioni ci porta a quell'empatia che è la
capacità di leggere le emozioni degli altri, e siccome senza percezione
delle esigenze e della disperazione altrui non può esserci
preoccupazione per gli altri, la radice dell'altruismo sta nell'empatia,
che si raggiunge con quell'educazione emotiva che consente a ciascuno di
conseguire quegli atteggiamenti morali dei quali i nostri tempi hanno
grande bisogno: l'autocontrollo e la compassione.
Oggi l'educazione emotiva è lasciata al caso e tutti gli studi e le
statistiche concordano nel segnalare la tendenza, nell'attuale
generazione, ad avere un maggior numero di problemi emotivi rispetto a
quelle precedenti. E questo perché oggi i giovanissimi sono più soli e
più depressi, più rabbiosi e ribelli, più nervosi e impulsivi, più
aggressivi e quindi impreparati alla vita, perché privi di quegli
strumenti emotivi indispensabili per dare avvio a quei comportamenti
quali l'autoconsapevolezza, l'autocontrollo, l'empatia, senza i quali
saranno sì capaci di parlare, ma non di ascoltare, di risolvere i
conflitti, di cooperare.
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