Noi non abbiamo molta memoria della
zappa, eppure fino a pochi decenni fa si usava ancora, ci sono posti
sulle Murge oltre alle “quite” dove i contadini utilizzavano dei veri e
propri fazzoletti di terra per coltivare l’orto; per farle crescere bene
bisogna prima della semina, far “respirare la terra” cioè zapparla.
Periodicamente si zappano ancora per avere terreno soffice e ripulito
dalle erbacce che soffocavano piante e radici. Zappare era un lavoro
durissimo che veniva svolto anche dalle donne e dai bambini.
Questo brano racconta il duro lavoro di un contadino- zappatore e di suo
figlio e della misera vita che si conduceva circa 60 anni fa in
Sardegna, nella Puglia, in molte regioni d’ Italia dove la natura del
territorio e la vita degli uomini non era facile. Il nome del bambino
Bainzu potrebbe far pensare a un nome esotico e dunque fa pensare a
tutte quelle persone nel Mondo che vivono ancora oggi in territori
ostili dove per sopravvivere e sfamare la famiglia bisogna zappare!
Emerge dalle parole di questo autore, scelto per voi per la bellezza
della descrizione, l’intera vita di persone che hanno vissuto del duro e
sfiancante lavoro dello zappatore. E’ un brano molto bello, vivido,
intenso e reale nella sua drammaticità, mi è sembrato di essere lì ad
osservare la scena descritta. Vi consiglio di leggerlo!
Macerie
Il primo colpo di zappa spaccò la terra in due, il secondo la ribaltò,
il terzo portò alla disperazione i vermi che l’abitavano, il quarto si
diresse un po’ più in là, verso altra terra.
Una vita scandita da colpi di zappa. Da bambino quell’attrezzo era più
grande di lui, difficile da sollevare e quando veniva giù lo trascinava
col suo peso. Dabbasso venivano le sue fini braccia, si piegava la
schiena e il contraccolpo del terreno era una frustata per entrambi.
Avanzare di giorni, accompagnati da quella musica, di ferro contro
pietra e terra, di pelle che scorre leggera sul legno e si apre in
vesciche sopra calli ancora giovani. Canto di sospiri affannosi, ansimi
improvvisi e gocce di sudore che colano sulla polvere: rumore ovattato,
avvertibile solo da udito non umano, lo stesso in grado di sentire le
urla di insetti e vermi.
Giorni caldi che passano uno uguale all’altro e lo ritrovano intento
sempre nello stesso identico movimento, ma in un punto diverso.
Succedersi di campi e coltivazioni, movimenti sempre uguali. Ma come gli
dice il padre: «C’è tanta terra da zappare, quindi cerca di fare
veloce».
E Bainzu ci prova, vuole fare bella figura. Ad Antro vuole diventare lui
il più svelto. La guerra è appena finita, gli uomini sono pochi, e ha
ragione suo padre: c’è tanta terra da zappare.
A volte Bainzu fa un sogno in cui lui ha zappato tutta la Terra e non vi
è rimasto un solo filo d’erba, si sente il suolo respirare, finalmente
libero. Il bambino è contento e tutti nel paese si complimentano con
lui. Ora può andare a scuola, non deve più lavorare. Ma poi si sveglia e
guardando dalla finestra vede una distesa verde.
Passano gli anni e lui non è un bambino come gli altri: non studia,
lavora; non scrive su bianchi quaderni a righe, semmai riga la terra
scura e la frantuma; non legge grandi libri pieni di disegni variopinti
e scarabocchi neri, semina chicchi che diventano piante colorate e che
presto iniziano a dare frutti.
Bainzu legge e scrive sui campi, su righe che si impegna lui stesso di
tracciare e poi riempire con pianticelle o semini. Chiunque può leggere
i suoi quaderni, ma solo lui può scriverli.
Passano gli anni e Bainzu si accorge che non è tanto facile eliminare
tutta l’erba del mondo, perché questa, se non si fa in fretta, ricresce
dall’altra parte; qui si finisce, lì si deve ricominciare. Ma lui
diventa ogni giorno più veloce e forte, ora le sue braccia sollevano la
zappa con impeto e la scaraventano al suolo con rabbia, la terra esplode
sotto quei colpi e quando il ferro incontra la pietra partono scintille
verso l’aria.
La prima volta che Bainzu vide una scintilla si sorprese, l’emozione gli
fece battere forte il cuore. Nell’aria sentì un odore pazzesco, una
fragranza bella e misteriosa: se fosse andato a scuola avrebbe saputo
che era odore di zolfo. Ci mise un po’ a capire che scintille e fumo si
producevano nel colpire alcune pietre in particolare. Quando incontrava
terreni che ne erano pieni Bainzu rideva, si divertiva da matti, faceva
esplodere la terra intorno a sé e osservava le scintille alzarsi al
cielo, riempiendosi le narici di quell’odore magnifico. Fin quando un
giorno il padre non lo vide giocare in quel modo e lo schiaffeggiò. «Non
si gioca con la terra! La terra è una cosa seria e bisogna rispettarla!»
Bainzu non giocò più a sollevare zampilli di fuoco, ma quando delle
volte qualcuno si sollevava, egli sorrideva. Quella fu l’ultima volta
che il padre dovette batterlo, poiché da allora in avanti non ce ne fu
più bisogno, Bainzu non giocò mai più.
Bainzu cresce e le sue giornate si riempiono di un continuo lavorare.
Ora lo fa con una certa ansia, dietro di sé vede l’erba infida che, se
dimenticata, gira le radici verso il basso, riprendendo a nutrirsi e a
crescere, perciò lui deve stare attento. Soprattutto con la gramigna, la
più odiata: basta dimenticarsene un pezzetto per terra e questa ricresce
meglio di prima.
Con il passare del tempo Bainzu si anima di frenesia nel suo zappare. Il
troppo lavoro l’ha mantenuto rachitico, schiacciato al suolo. Ormai
maggiorenne, è più basso dei suoi coetanei, però a zappare nessuno gli
tiene testa. La foga che lo domina gli fa battere forte il cuore, lo fa
ansimare, e quanto più respiro e battito aumentano, tanta più foga lui
ci mette. È una furia Bainzu.
Passano gli anni e le zappe si consumano, a volte i manici si rompono e
Bainzu è costretto a cambiarli. Un manico nuovo è peggio di una lama
nuova, perché il legno fresco si scheggia nelle mani e gli apre vecchi
calli, rendendogli doloroso il lavoro. Ma le sue braccia ormai si alzano
con vigore nell’aria, e poi calano con una velocità e precisione tali
che la terra pare aprirsi molto prima di essere raggiunta; ormai in un
colpo la spacca, la voltola e porta alla disperazione i suoi abitatori,
frantumandola. È una gioia vederlo zappare. E fu nell’estasi generata da
tale gioiosa vista che il padre un giorno, morì.
Ancora anni, e stagioni, e freddo, sole, pioggia, caldo afoso, e le
mille vicissitudini che la natura all’uomo impone, ma Bainzu non si
lamenta: zappa e zappa, con il cuore che batte forte e lui che zappa
sempre più veloce, sempre con quella furia, un’ansia che lo fa star bene
e che lo rende felice. Ormai dorme con la zappa di là del letto, si alza
prendendola in mano e si corica riponendola nello stesso posto. E
persino nei sogni continua a zappare. Poi un giorno sopraggiunge la
vecchiaia, lo fa all’improvviso. Ora quell’attrezzo gli fa anche da
bastone. Ma quando Bainzu lavora le sue braccia riprendono forza, non è
diminuita la velocità, è solo aumentata la precisione e ogni suo colpo
di zappa è arte riversata nella terra.
Fino a che un giorno, mentre zappa un campo di patate, accozzando il
terreno, si accorge che il cuore gli batte forte. Allora aumenta il
ritmo, e il cuore fa altrettanto. Prova a metterci più foga, ma il
battito accelera ancora: stavolta vuole averla vinta lui! Ma Bainzu non
vuole cedere e prende a lavorare a un ritmo tale che è impossibile
stargli dietro.
Non riesce più a controllarsi e inizia a colpire qualche pianta che cade
nella terra smossa come un albero abbattuto, ma senza far rumore. Per un
attimo a Bainzu gli sembra persino di sentire la voce di suo padre che
gli grida: «Con la terra non si gioca!», e gli molla un ceffone. Poi
sente un dolore forte al petto e invece di fermarsi intensifica gli
sforzi: ormai la zappa vortica impazzita, la terra schizza dappertutto e
gli cade sulle spalle, sulla schiena, sulla testa, ma lui sempre più
rapido e il cuore a fargli sempre più male… Infine le gambe cedono, il
braccio si ripiega all’indietro e il vecchio cade: la faccia nella
terra, la zappa di fianco.
Fa ancora un ultimo tentativo per risollevarla, poi con un occhio
sbarrato verso il campo, Bainzu muore. Il cuore gli si è aperto in due,
si è ribaltato e l’anima, disperata, è fuggita via.
Claudio Piras Moreno (Sardegna)
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